La musica di Rade affiora come un relitto carico di memoria, avvolto da luce accecante, il mare lungo è una superficie in argento, il canto sardo si fonde e confonde con sonorità che evocano una preghiera laica. Le composizioni divengono luoghi utopici di transito, paesaggi onirici abbozzati con la stilografica, aree protette dalla furia della tempesta, che riconducono all’illusione del miraggio. Il mare è il magma che unisce le latitudini delle terre emerse, isole musicali sospese tra popolare e contemporaneo, tra pulsazioni balcaniche, arcate mediorientali, adagi desert nord africani, citazioni di Rebetiko e memorie delle avanguardie storiche, reminiscenze flamenche, fraseggi dissonanti, crescendi epici art-rock e convergenze in squarci di liricità.
Rade è il mosto del secolo scorso, dimenticato nella cambusa, invecchiato, che lascia nei bicchieri di vetro il tannino, per abbandonarsi al ricordo di visioni leggere imbalsamate dalla salsedine. La luce del mare entra nelle nostre case, con la forza dirompente di un’avanguardia mediterranea trasmessa oralmente da un Caronte gioioso che, immaginando una navigazione che non conosce frontiere, si esprime con mille lingue, le usa per un attimo e poi le getta via.
“… E maglie a righe fuori dal tempo per rinnovare, ancora una volta, nel rituale dell’ascolto di un disco, la necessità di gioia…”
Rade – Il dodicesimo da solista ed il quattordicesimo prodotto da Paolo Angeli per la ReR Megacorp in collaborazione con la AnMa productions – è un arrivo inaspettato, come un raggio di sole nella stagione delle piogge. La sintesi discografica compiuta da Paolo Angeli, segue a distanza di un anno il successo di critica dell’album Jar’a. Se quest’ultimo contemplava la Sardegna più ancestrale, in Rade il musicista sardo cambia rotta e affronta il Mediterraneo ‘vis a vis’,in una navigazione che ci trascina nell’atmosfera meticcia dei porti del mare-nostrum.
Il concept album è la sintesi di venticinque anni di convivenza di Paolo con la sua chitarra orchestra, spinta al limite delle potenzialità timbriche espressive, ma a tessere la narrazione è la voce, nasale e dal sapore sardo-iberico, che si affida alle quartine dei poeti galluresi e logudoresi del 1700 e ‘800.